Terzo appuntamento dedicato a Guido Tarlati a cura di Giulia Procelli per il Baratto dei Saperi Smart. Buona lettura!  🙂 

Prima ancora di concentrarci sulle azioni militari tarlatesche, credo che sia utile inquadrare la situazione politica dell’Italia centrale nel Duecento e nei successivi primi decenni del Trecento. È bene ribadire come i due schieramenti, pars ecclesiae e pars imperii, volgarmente detti guelfi e ghibellini, fossero nettamente diversi l’uno dall’altro, non solo per la politica perseguita, ma anche per la loro presenza e organizzazione sul territorio. Prima di tutto ciò che noi definiamo comunemente come Stato della Chiesa o Stato Pontificio, all’epoca nelle fonti medievali appariva nominato come Patrimonium Beati Petri cioè semplicemente come Patrimonio di San Pietro: un insieme di territori sottomessi nominalmente all’autorità del pontefice in virtù di antiche donazioni carolingie e ottoniane ma in realtà soggetti a poteri  comunali/signorili più o meno autonomi dal punto di vista politico e posti entro degli staterelli dai confini più o meno definiti. Nella maggior parte dei casi quindi la sovranità della Chiesa era solo sulla carta visto che, in molte zone, si erano insediate delle vere e proprie signorie familiari che nella seconda metà del Trecento si vedranno addirittura riconosciute (caso dei Malatesta a Rimini).

La Santa Sede dopotutto era impegnata su ben altro fronte: la lotta al ghibellinismo. Fu proprio il passaggio di consegne da Clemente V a Giovanni XXII, eletto papa il 7 agosto 1316, a rinvigorire il fronte dei guelfi italiani (specialmente quelli fiorentini) per almeno un ventennio. Ma le sue idee teocratiche e la sua continua intromissione nel governo e nella politica del Sacro Romano Impero lo portarono a scontrarsi con Ludovico il Bavaro non appena questi venne eletto imperatore nel 1328. Il pontefice non aveva mai condiviso né tantomeno approvato la scelta di eleggere Ludovico come imperatore già nel lontano 1322 quando addirittura, piuttosto che accettarne
l’elezione, aveva preferito dichiarare ancora una volta la sede imperiale vacante interdicendo e scomunicando Ludovico che dispregiativamente da quel momento sarà chiamato il Bavaro. All’imperatore, dal canto suo, non era rimasta altra scelta che quella di allearsi agli altri grandi di Germania e dichiarare eretico papa Giovanni XXII appellandosi alla convocazione di un nuovo concilio per eleggerne il successore: si tratta dell’appello di Sachsehausen del 22 maggio 1323 che segnò l’inizio dello scontro aperto tra papato e impero. Ludovico venne di nuovo scomunicato (1324) e tre anni più tardi decise di scendere in Italia per indebolire la posizione papale e, d’accordo con diversi esponenti ghibellini, decise dunque di marciare su Roma (1327). In Italia il conflitto tra i due si saldò a quello tra guelfi e ghibellini e alla lotta per l’egemonia tra le varie città comunali.

Molte di queste città ghibelline (Lucca, Arezzo e Pisa) accolsero con entusiasmo l’arrivo del Bavaro nella penisola mentre le altre guelfe (Firenze, Siena, Perugia e Città di Castello) si rintuzzarono e si
legarono ancora più saldamente al papa. Sebbene dilaniato da lotte intestine, il Comune di Arezzo era rimasto sempre fedele alla pars imperii (“parte dell’impero”/ghibellini) portando ancora avanti la politica duecentesca che lo aveva condotto rovinosamente alla disfatta di Campaldino. L’ennesima dimostrazione del credo ghibellino della città di Arezzo si ebbe già con la discesa in Italia dell’imperatore Enrico VII prima e poi con la sua incoronazione a re d’Italia avvenuta a Milano nel gennaio 1311 prestando fedeltà ai suoi ambasciatori e accogliendo in città l’imperatore in persona nel suo viaggio di ritorno da Roma nel giugno 1312. Infine in quello stesso anno Arezzo aveva aiutato le truppe imperiali nell’assalto e nell’assedio di Firenze e aveva permesso all’imperatore di affiggere alle porte della cattedrale cittadina la sentenza di condanna di Roberto d’Angiò, re di Napoli, accusato di essere un vassallo ribelle dell’imperatore. E in previsione di un ulteriore attacco alla città del giglio nel giugno del 1313 le truppe aretine, guidate da Federico da Montefeltro, erano giunte a Pisa per dare manforte all’esercito imperiale. Chiaramente dopo la morte di Enrico VII, gli aretini erano stati costretti alla resa ed a scendere a patti con le vicine città guelfe (con Firenze il 29 settembre 1314 e con Siena il 26 gennaio 1315) ponendosi in sostanza sotto la signoria nominale di Roberto d’Angiò, protettore delle forze guelfe italiane. È bene però ricordare che, nonostante le apparenze, gli aretini non smisero mai di sostenere in maniera più o meno esplicita le forze ghibelline che si battevano contro Firenze e la sua egemonia.

Per ulteriori approfondimenti potete consultare:
– P. LICCIARDELLO, Un vescovo contro il papato: il conflitto tra Guido Tarlati e Giovanni XXII, Arezzo, Società Storica aretina, 2015
– P. TERENZI, Gli Angiò in Italia centrale. Potere e relazioni politiche in Toscana e nelle terre della Chiesa (1263-1335), Roma, Viella, 2019, pp. 65-135 e 135-251
– Per le voci “Castracani, Castruccio e Faggiuola, Uguccione e Montefeltro, Federico in Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto dell’enciclopedia italiana, 2003 visibile anche sul web all’indirizzo https://www.treccani.it

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