Primo interessante articolo del percorso dedicato alla figura di Guido Tarlati a cura di Giulia Procelli. Buona lettura!!! 🙂

 

Nei primi secoli del Basso Medioevo i prelati e in generale le autorità ecclesiastiche dell’Italia centrosettentrionale cominciarono ad appropriarsi di cariche e prerogative pubbliche come quelle comitali, proprie cioè dei comes “conti”. E Arezzo non faceva certamente eccezione visto che qui i vescovi arrivarono persino a intitolarsi conti. La loro ascesa fu possibile grazie ad una congiuntura di eventi favorevoli. Vuoi la mancanza di figure laiche autorevoli in grado di guidare la città, vuoi la politica intrapresa dalla famiglia dei Marchiones1, impegnata a trasformare i diritti marchionali in un dominato territoriale al confine della Valtiberina, fatto sta che il potere e lo spazio politico occupati dal vescovo anticipano quanto avverrà nel corso del Duecento e poi nel Trecento con la nascita di una vera e propria signoria di stampo vescovile.

È vero sì che l’ultimo vescovo a fregiarsi del titolo di episcopus ac comes (“vescovo e conte”) fu Girolamo nel 1175 ma è altrettanto vero che, prima del più famoso vescovo Tarlati, fra il 1230 e il 1312, sulla cattedra di San Donato si avvicendarono quattro presuli2 importantissimi per la storia della città, rispettivamente Martino (1213-1236), Marcellino (1236-1248), Guglielmino degli Ubertini (1248-1289) e Ildebrandino Guidi (1289-1312). L’azione dei primi due fu relativamente modesta e specialmente per quanto riguarda Marcellino legata ad una politica di estremo guelfismo, poco amata in città. Sarà invece l’ingombrante personalità del vescovo Guglielmino a dominare la seconda metà del XIII secolo. Sebbene appartenesse ad una famiglia ghibellina, Guglielmino, per perseguire una sua personalissima politica volta alla creazione di uno stato accentrato e sostanzialmente di natura signorile, non esitò a schierarsi dalla parte dei guelfi pur di perseguire le proprie ambizioni. La signoria di fatto da lui esercitata sulla città di Arezzo, dal 1248 al 1289, costituisce il preambolo fondamentale per poter comprendere quanto avverrà nel secolo successivo con la concessione della signoria da parte del Comune all’allora vescovo Guido Tarlati.

A confronto di quella dell’Ubertini, la personalità di Ildebrandino appare nettamente minore. Era il più piccolo dei figli del conte Guido di Romena e di Maria di Uberto Pallavicini ed apparteneva ad una famiglia di provata fede guelfa. La scelta di papa Niccolò IV di nominarlo vescovo di Arezzo fu senza dubbio frutto di precisi calcoli politici visto che permise di rafforzare la presenza delle forze guelfe in Toscana. L’elezione di un Guidi fu comunque carica di conseguenze visto che, se in precedenza la famiglia si era tenuta ben lontana dagli affari cittadini, adesso con l’ottenimento della cattedra episcopale, avrebbe dovuto inevitabilmente farne parte. Ormai poi ad Arezzo la lotta tra guelfi/ghibellini aveva assunto dimensioni importanti e si era coagulata intorno alla contrapposizione tra i Verdi (guelfi e sostenitori di un governo popolare) ed i Secchi (ghibellini guidati dai Tarlati) tant’è che la lotta per il potere proseguì fino a quando nel novembre del 1311 fu stipulata la Pace di Civitella e, proprio nel segno di questa rinnovata concordia, al vescovo Ildebrandino fu affidata la signoria della città. Certamente ancora la posizione e le funzioni del vescovo, almeno per Arezzo, non erano state codificate in maniera univoca. Di fatto più che semplici presuli, i vescovi aretini erano figure politiche a tutto tondo che univano in sé compiti pastorali, ruolo pubblico e spesso anche la provenienza da famiglie nobili del contado che permetteva loro di usufruire di certe prerogative signorili e di contare su una certa ricchezza. Come già ribadito, la funzione comitale non era più in uso presso i vescovi aretini nel Duecento né c’erano stati riconoscimenti di tale carica e/o funzione da parte dell’imperatore nel secolo precedente (l’unico riconoscimento risalirebbe infatti al 1052).

Non è importante quindi stabilire se i vescovi aretini siano mai stati effettivamente conti quanto più che altro capire di quante e quali prerogative comitali continuassero a fregiarsi nel XIII secolo. La base giuridica delle pretese aretine consisteva in una serie di diplomi imperiali che gli riconosceva alcune regalie come il diritto di batter moneta e quello relativo alla gestione della stadera per la pesatura delle merci. Un diritto, quest’ultimo, goduto almeno fino al 1359 ma appaltatogli pare solo nel 1257 e spesso contestato aspramente tanto da spingere il vescovo a scomunicare tutti coloro che usavano un sistema di misurazione diverso. Ciò che stupisce non è il fatto che questi diritti gli fossero contestati o più spesso usurpati dal Comune quanto più che il vescovo aretino fosse ancora in grado di avvalersene ed esercitarli a differenza di tanti altri suoi colleghi del tempo. Per non parlare poi del fatto che il vescovo era ancora il maggiore punto di riferimento in città e l’unico in grado di pacificare la comunità nonché l’interlocutore privilegiato per l’impero. La prerogativa pubblica più importante del vescovo aretino era infatti quella di garantire l’ordine all’interno del Regnum Italiae e quindi era del tutto normale che i conti palatini si fossero rivolti nel 1264 proprio al vescovo per chiedergli di intervenire nella lotta tra fazioni stipulando una pace e vedendo in lui quel garante dell’ordine pubblico che mancava in quegli anni tra le figure laiche. Più difficile era invece l’esercizio delle giurisdizioni vere e proprie come l’amministrazione della giustizia e la riscossione delle tasse che nel Duecento erano ormai confluite tra i compiti spettanti al Comune, fosse anche solo per usurpazione o tramite accordi di natura economica. Per quanto riguarda invece la signoria episcopale nel contado, la curia e il controllo sul clero di tutta la diocesi aretina, il vescovo aveva campo libero ed era al riparo da possibili intromissioni comunali.

In conclusione è difficile oggigiorno vederci un effettivo residuo di potere pubblico dal momento che la giurisdizione sulle cose ecclesiastiche era propria di tutti i vescovi dell’Italia centro-settentrionale ma probabilmente nella realtà del tempo non era affatto facile scindere in compartimenti stagni le varie componenti del potere vescovile.


1- Una famiglia che, vista l’origine del loro potere, fu rinominata dei Marchiones poi “Marchesi del Colle” e poi “del Monte di Santa Maria”. Il termine viene più comunemente tradotto con Marchesi. La suddetta famiglia era stanziata sul Monte Santa Maria Tiberina e discendeva da un tale chiamato Ranieri I, duca di Spoleto e Camerino (dal 1012) e marchese di Toscana (1014-1027), nonché fratello del quarantesimo vescovo aretino Elemperto. Sulla sua origine più o meno mitica sono state avanzate diverse ipotesi dagli storici nel corso degli anni. La suddetta famiglia comunque possedeva un castello posto sul colle San Donato e diversi altri possedimenti sparsi nella parte orientale della città e altrove come il sopradetto ducato di Spoleto che permetteva loro di rinsaldare i legami della città aretina con la vicina regione umbra e di iniziare la costruzione di una sorta di dominato nel territorio proprio a cavallo dei due contadi di Città di Castello e Arezzo.
2- Sinonimo, di tono elevato, di prelato o vescovo


Per ulteriori approfondimenti potete consultare:
– J. P. DELUMEAU, Arezzo, espaces et sociétés, 715-1230. Recherches sur Arezzo et son contado du VIII eau debut du XIIIe siècle, Roma Ecole Française de Rome, 1996
– J. P. DELUMEAU, Dal Conte suppone il Nero ai Marchesi di Monte Santa Maria in Formazione e strutture dei ceti dominanti nel Medioevo: marchesi, conti e visconti nel Regno Italico (secc. IX XII), atti del convegno di Pisa, 3-4 novembre 1993, II, Roma, Istituto storico italiano per il Medioevo, 1996, pp. 265-286
– P. LICCIARDELLO, La vita religiosa ad Arezzo nei secoli XII-XIV in Arezzo nel Medioevo a cura di G. Cherubini, F. Franceschi, A. Barlucchi, G. Firpo, Roma, Giorgio Bretscheneider editore, 2012, pp. 219-233
– M. PELLEGRINI, Chiesa e città. Uomini, comunità e istituzioni nella società senese del XII e XIII secolo, Roma, Herder editrice e libreria, 2004
– G. G. SCHARF, Potere e società ad Arezzo nel XIII secolo (1214-1312), Spoleto, Fondazione Centro Italiano di studi sull’alto Medioevo, 2013
– S. TIBERINI, Origini e radicamento territoriale di un lignaggio umbrotoscano nei secoli X-XI. I “Marchesi di Colle” (poi “Del Monte S. Maria”) in Archivio storico italiano vol. 152, Firenze, Olschki, 1994, pp. 481-559
– Per le voci “Ubertini, Guglielmino e Guidi, Ildebrandino in Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto dell’enciclopedia italiana, 2003 visibile anche sul web all’indirizzo https://www.treccani.it

 

Per eventuali chiarimenti resto a vostra disposizione: giulia.procelli19@gmail.com