“Plastica italiana” è una collettiva di lavori di Carla Accardi, Enrico Baj, Enrica Borghi, Sergio Cabrini, Gianni Cella, Giuseppe Chiari, Franco Costalonga, Nando Crippa, Francesco de Molfetta, Dadamaino, Terenzio Eusebi, Davide Nido, Beatrice Gallori, Piero Gilardi, Marco Lodola, Umberto Mariani, Armando Marocco, Davide Nido, Omar Ronda, Tino Stefanoni, Michelangelo Pistoletto. La mostra, a cura di Valerio Dehò e Fabio Migliorati, realizzata dall’assessorato alla cultura e al turismo del Comune di Arezzo in collaborazione di Armanda Gori Arte, arriva ad Arezzo alla sala Sant’Ignazio, dal 28 febbraio al 27 marzo con apertura martedi-venerdì 16-19, sabato e domenica 14,30-19,30. Catalogo in sede.
La plastica vanta una storia anche italiana poiché è Giulio Natta, premio Nobel per la chimica nel 1963, assieme al tedesco Karl Ziegler, che inventa e perfeziona il polipropilene, una sostanza dalle immense possibilità d’uso nel vivere di tutti i giorni. Ma gli artisti arrivano spesso prima degli altri a intuire nuove possibilità. Ne è l’esempio il caso di Alberto Burri, il quale, già nel 1957, preferisce la plastica alla tela. A questo derivato del petrolio, a questo elemento ormai così comune, si attribuisce il merito d’aver cambiato la vita contemporanea. Nel 1963 Enrico Baj usa i mattoncini di plastica Lego; altri più o meno della stessa generazione come Dadamaino, Carla Accardi, Giuseppe Chiari, Franco Costalonga, Armando Marrocco sfruttano le potenzialità del nuovo materiale. Tino Stefanoni, nel 1970, alla Biennale di Venezia, “stampa” i suoi oggetti seriali in diretta, offrendoli al pubblico.
La plastica appare allora come blasfema, non ortodossa rispetto a materiali nobili come il marmo o il bronzo – sembra così innaturale che Piero Gilardi, ancora negli anni Settanta, adopera prima la gommapiuma e poi il polistirolo per ricreare un effetto “Eden artificiale”. Umberto Mariani la sceglie per scandire le tappe dei suoi viaggi attorno al mondo ed Enrica Borghi parte dall’idea ecologica del riciclo dei materiali. Gianni Cella, con i Plumcake, uno dei gruppi italiani fondamentali per capire gli anni Ottanta, riempie le gallerie d’arte di personaggi plastici dal punto di vista dell’idea di un arte “finta”, smagliante d’ironiche banalità. Marco Lodola realizza una vera e propria città della luce, una Las Vegas di icone ridenti, Davide Nido usa materiali plastici diversi, tra optical e pattern painting, mentre Francesco de Molfetta riparte dal Pop per creare un universo ironico, fantastico, visionario. In chiave astratta, Beatrice Gallori lavora con i polimeri per determinare forme instabili e aperte, e Terenzio Eusebi cerca le sfumature del bianco in lavori monocromatici che mettono insieme il caso e la razionalità. Nando Crippa tende al polistirolo per le sue figure classiche ma fuori scala e Sergio Cabrini, con i suoi ominidi proliferanti, occupa lo spazio comunicando con i colori, fino alle icone contemporanee di Omar Ronda, ai suoi genetic fusion della società consumistica che non tramonta mai. Dal petrolio insomma sgorga la vita, e anche l’arte.
“Plastica italiana” è una mostra complessa; strutturata attorno a un materiale difficile proprio perché appare semplice e quotidiano. La prima ricognizione attorno a un atteggiamento degli artisti verso una novità che rimane al passo con i tempi, senza smettere di incuriosire per il suo eclettismo e la sua attualità.
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